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S'Accabadora Pianalzesa

Conosciuta anche come femmina aggabadora, è una figura sospesa tra mito e memoria che rinasce come maschera della tradizione sarda

Storia
Storia

Dov'è

Sardegna

08010 Flussio OR, Italia (0m s.l.m.)

Indicazioni stradali
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Chi è S'Accabadora Pianalzesa, la femmina agabbadora di Sardegna

L’Accabadora o Agabbadora, secondo la tradizione sarda era una donna che aveva il compito di praticare l'eutanasia su persone gravemente malate. Spettava a lei rispondere alla richiesta d'aiuto della famiglia del malato: quando ogni sforzo era ormai inutile, l'Accabadora si recava a casa loro e metteva fine alle sofferenze del moribondo.

S'Accabadora oggi: la maschera

In Sardegna, nella regione della planargia questa figura è stata riscoperta grazie all’associazione S’Accabadora Pianalzesa e alla maschera creata nel 2019 che la aggiunge alle altre maschere della tradizione sarda. In particolare, S’Accabadora Pianalzesa indossa una maschera in cuoio che imita un fazzoletto che le ricopre la bocca, il naso e la fronte, lasciando libero solo il contorno degli occhi. È vestita di nero, con gonna lunga, «sa mantedda» una mantellina di orbace nero con «su cuguddu» un cappuccio dello stesso materiale. La si può incontrare durante le feste di paese, specialmente nell'entroterra sardo, e durante il carnevale.

I simboli e la coreografia della danza dell’accabadora

Proprio durante queste feste è possibile ammirare la maschera indossata da diversi membri dell’associazione. Queste donne danno vita ad una coreografia molto suggestiva che racconta la simbologia e le pratiche collegate all’Accabadora. Il gruppo è composto da diverse accabadore e da s’accabau, il moribondo. Lo si distingue dalla maschera di dolore che gli copre il viso, e dal giogo che porta sulle spalle, simbolo del peso e della sofferenza che sta affrontando nel suo fine vita. Dopo aver camminato un po’ insieme, le accabadore si preparano in fila indiana accanto a s’accabau, e gli girano intorno per tre volte in senso orario e antiorario. Questi giri richiamano gli ultimi giorni di vita del moribondo, durante i quali s’accabadora provava a curarlo con un ultimo rito, mettendogli un piccolo giogo («su juleddu» che S’Accabadora porta legato in vita) sotto il cuscino. Questo giogo simbolico, a differenza di quello portato dalla maschera di s’accabau, simboleggiava il lavoro nei campi, e provara a riconnettere il malato alla vita.

La morte, però, arriva per tutti: per s’accabau è il momento di lasciarsi alle spalle il dolore e la sofferenza grazie all’acabadora. Nella coreografia, le accabadore ora tolgono il giogo al moribondo, che cade a terra. Ma non è solo: un’accabadora lo tiene fra le braccia e gli canta una sorta di ninna nanna, ed è a questo punto che un’altra accabadora dà il colpo finale. A questo punto, le accabadore si rimettono in fila e proseguono la loro marcia.

Un po’ di storia, la femmina agabbadora tra mito e realtà

Si racconta che le pratiche di uccisione utilizzate dalla femmina agabbadora variavano a seconda del luogo: entrava nella stanza del morente vestita di nero, con il volto coperto, e uccideva tramite soffocamento con un cuscino, oppure colpendo sulla fronte con un bastone d’olivo (su mazzolu) o dietro la nuca con un colpo secco, o ancora strangolando il moribondo stringendo il collo tra le sue gambe. Lo strumento più usato sarebbe un giogo, una sorta di martello di legno.

Tuttavia, come dicevamo, non ci sono vere e proprie fonti storiche su questa figura; gli antropologi ritengono che la femina agabbadora non sia mai esistita, ma invece ci siano state figure che portavano conforto alle famiglie dove c’era un moribondo, accompagnandolo fino all’ultimo istante di vita.

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