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Il monastero di San Giovanni Theristìs
Luogo di straordinaria suggestione, che riporta il visitatore al tempo delle prime comunità religiose bizantine
Dov'è

Una meta in una dimensione senza tempo
Il monastero di San Giovanni Theristìs, che talora si trova citato anche come San Giovanni Vecchio, si trova al termine della tortuosa strada che da Bivongi (m 270) risale il versante settentrionale della valle dello Stilaro fino ai 415 metri di quota della confluenza con la valle dell'Assi. Luogo solitario, sullo sfondo di un ambiente montano aspro, di straordinaria suggestione, che per certi versi anticipa la storia dell'antico complesso religioso. Quel che ne resta è sostanzialmente la chiesa, importante architettura di transizione tra forme bizantine e normanne, sottoposta in anni recenti a un completo restauro che ha permesso il reinsediamento della comunità ortodossa che tuttora la officia.
Il sovrano normanno e il monaco taumaturgo
Il monastero trae origine da un eremitaggio basiliano che verso la fine del secolo XI acquistò fama e divenne meta di pellegrinaggi grazie a San Giovanni Teresti (995-1054) un monaco emigrato dalla Sicilia in seguito all'invasione araba, che vi trascorse buona parte della vita. Fu il normanno Ruggero I, che ne aveva sperimentato le capacità taumaturgiche, a volere una chiesa degna di tanta devozione. Tutto per il meglio, fino al XV secolo, quando il cenobio andò incontro a crescenti vicissitudini che alla lunga culminarono nella soppressione dell'ente religioso per volere dell'autorità napoleonica. Passato in mani private, ridotto a usi agricoli, il complesso nel giro di un secolo si ridusse nello stato di rovina in cui lo trovò ai primi del Novecento l'archeologo medievale Paolo Orsi.
L'atteso ritorno di una comunità ortodossa
La storia più recente del monastero riguarda il reinsediamento di una comunità ortodossa. Nonostante i migliori auspici, è servito quasi un secolo dalla sua riscoperta perché la questione della sua restituzione al culto tornasse di attualità. Ultimati i restauri, passaggio non meno determinante, l'area compresa fra i fiumi Stilaro e Assi è stata consacrata, cosicché nel 2008 è stato possibile affidare il monastero alla Chiesa Ortodossa Rumena in Italia. Così l'interno della chiesa oggi si presenta nuovamente ricco di icone, pitture, affreschi e arredi sacri come l'iconostasi, ovvero il divisorio decorato con immagini sacre tra l'aula e il presbiterio, o il lampadario nella navata centrale, con una base di dodici lati, su ognuno dei quali è raffigurato un apostolo.
Il miracolo del santo mietitore
L'interno della chiesa conserva una serie di affreschi, alcuni dei quali risalenti al tempo della sua edificazione. È tra questi dipinti murali che si può riconoscere la più antica rappresentazione di San Giovanni Theristis. Per quanto segnato dal tempo, lo si riconosce per il saio, l'abito monacale di tela grezza, segno esteriore della scelta di vita in povertà. Nell'iconografia di questo santo ricorre spesso un ulteriore attributo, la falce. Dall'agiografia se ne capisce il perché: si narra infatti che dei mietitori, tornando sui campi dopo un furioso temporale, trovarono il grano miracolosamente salvo, raccolto in covoni per intercessione di Giovanni. Da ciò l'appellativo di Theristis, dal greco, per l'appunto, il mietitore.
La cupola, un virtuosismo costruttivo
La cupola della chiesa, sicuramente l'elemento più caratteristico della costruzione, merita doppia attenzione. Dall'esterno è immediato ad associarne la forma e la decorazione a quelle di altre costruzioni bizantine, come la Cattolica di Stilo e la Roccelletta di Squillace. Dall'interno, poi, se ne apprezza l'articolata struttura, impostata com'è su quattro pilastri e altrettanti archi, che reggono un volume dapprima cubico, poi ottagonale e infine cilindrico, sul quale s'innesta la volta ribassata della cupola. Nel suo genere, un vero virtuosismo costruttivo.