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Meraviglia  }  In tavola

Come il cacio sui maccheroni

Storia di un miracolo quotidiano

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Lazio

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Quanti sono i formaggi italiani?

Pare che Charles De Gaulle, quand’era presidente della Repubblica francese, abbia affermato: "Come si può governare un paese che ha 246 diversi tipi di formaggio?". Ovviamente era solo una stima, perché i formaggi francesi sono ben più numerosi, ma sicuramente non conosceva gli oltre 600 formaggi italiani. Sarà per questo numero così ampio (quasi due formaggi da assaggiare, ogni giorno dell’anno) che è così difficile governare il nostro paese!

Grana Padano, Robiola di Roccaverano, Fiore Sardo, sono alcuni dei 53 formaggi che hanno ottenuto il marchio europeo DOP, così come li elenca il sito del Mipaaf. La Burrata di Andria e il Canestrato di Moliterno sono invece marchiati IGP. Ci sono, poi, i formaggi compresi tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani (PAT), nel numero di 528. Queste sono le produzioni che già godono di un riconoscimento a livello europeo o nazionale. Ma poi ancora, ci sono i tanti progetti per il recupero e la salvaguardia delle produzioni a rischio di estinzione, come i Presidi Slow Food, o le diverse iniziative in corso per la valorizzazione delle piccole produzioni locali.

Una fetta di storia

Il formaggio viene da Oriente, quasi sicuramente dalla Mesopotamia, dalle fertili terre tra il Tigri e l’Eufrate, forse da ancor più lontano, dall’Iran o dal Tibet, anche se di quest’ultima ipotesi non esistono prove certe. Una leggenda racconta che la prima caseificazione avvenne per caso: fu un pastore che, utilizzando otri ottenuti dallo stomaco delle sue pecore per il trasporto del latte, sperimentò come, durante il tragitto e sotto il sole, il latte si trasformasse e, quindi, potesse essere anche conservato.

L’attività casearia attraversa i secoli raffinandosi, specializzandosi, non sempre però a favore del prodotto finale. Nel Novecento compaiono nuove tecnologie che trasformano l’agricoltura, con i pregi e i difetti che ben conosciamo: si selezionano le razze bovine specializzate, la vacca Frisona si afferma nelle stalle come vera e propria macchina da latte, soppiantando le oggi compiante razze locali.

Ritorno alla terra

Oggi siamo a una nuova svolta e il cambiamento epocale in atto, le emergenze che si susseguono con sempre maggiore frequenza e intensità, da quella pandemica a quella climatica, dalla guerra alla crisi economica, ci impongono un cambio di paradigma. Tutto deve ritornare alla terra e dobbiamo riportare al centro dell’attenzione il cibo e l’agricoltura, con un percorso che ridia concretezza alle cose, valore di uso agli oggetti e importanza alle relazioni comunitarie in una solidarietà ritrovata, capace di dare nuovamente dignità al lavoro agricolo.

Un’economia che non considera la centralità della questione agricola e del cibo, della manualità del lavoro, ci riporta ai disastri di un’economia basata sul denaro e sulla ricchezza facile, per pochi e a scapito dei più. Occorre imparare che il miracolo del cacio che caglia ogni giorno, in ogni mese dell’anno, può essere l’esempio da cui ripartire per valorizzare ed esaltare l’eccellenza dei tanti territori. Quella fatta da aziende legate alla terra, che generano economia, salvano la cultura, la storia del territorio, le sue risorse. In contrasto con chi dell’Italia, e del territorio, usa solo il nome e null’altro, in maniera se non truffaldina quantomeno scorretta.

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